Cos’è

I dischi intervertebrali si trovano tra i corpi vertebrali. Sono costituiti da un nucleo elastico e gelatinoso (nucleo polposo) e da un anello fibroso che lo avvolge (anulus). A causa della naturale degenerazione che si istaura con il passare dell’ età o per il sovraccarico, l’ anello fibroso si può rompere e parti del nucleo polposo possono fuoriuscire nel canale spinale. Questo è noto come ernia del disco.

Un brusco movimento del tronco o sollevare pesi eccessivi possono causare l’ ernia del disco, che può anche essere il risultato di una cattiva postura e della mancanza di esercizio fisico. In caso di disidratazione, il disco può anche “asciugarsi” perdendo la sua elasticità. Altri fattori di rischio per un’ ernia sono l’ obesità, la gravidanza o una generale debolezza del tessuto connettivo.

Il disco sporge dal margine vertebrale e schiaccia la radice nervosa provocando dolore, spesso la sciatica.

Solitamente il disco ernia ai lati del legamento longitudinale posteriore (una sorta di nastro che unisce e copre i corpi vertebrali ed i dischi interposti) che è anche la zona prossima alla radice nervosa. Gli spazi L4-L5 ed L5-S1 (L sta per lombare e S per Sacrale!) sono interessati nel 95% con una quota rispettiva del 45 e 50%. Segue lo spazio L3-L4 col 5% circa.
Il dolore ed i più rari deficit muscolare o sfinterico corrispondono al livello dell’ernia discale e quindi al nervo compresso (la radice in termini medici). Il livello L4-L5 interessa la radice di L5, L5-S1 interessa S1. L’ ernia rimane di solito contenuta negli involucri naturali del disco (l’anulus), altre volte viene espulsa come frammento libero, che nel 70% dei casi migra verso il basso.

SintomiEsame clinicoCureEndoscopiaInterventi Mininvasivi
Classicamente si manifesta in due tempi successivi: dolore lombare o lombalgia (“mal di schiena”) cui col tempo si associa la sciatica, o dolore lungo la faccia posteriore dell’arto inferiore, fino alla pianta o al dorso del piede. Il dolore all’esordio può essere improvviso e violento, tanto da meritarsi il nome di “colpo della strega”. Le figure a lato illustrano il colpo della strega, quindi la sede della lombalgia, e la distribuzione del dolore sciatico o sciatica.
Il colpo della strega
Indica un mal di schiena improvviso e violento, che “blocca” il paziente in flessione. Questo atteggiamento persiste anche per molti giorni e si attenua quando il dolore comincia a calmarsi. La lombalgia spesso precede la sciatica, ma nella fase di acuzie il dolore lungo la gamba può “mascherare” la lombalgia, ed essere il sintomo rilevante
La sciatica
L’ernia del disco si manifesta tipicamente con la sciatica, ossia dolore lungo la gamba (vedi la figura di fianco). Il dolore esprime la sofferenza radicolare (della radice nervosa, all’origine del nervo sciatico). Si tratta della radice di L5 o S1, con prevalenza dei sintomi verso il dorso (L5), o il malleolo esterno (l’osso che sporge sul collo del piede!) e la pianta del piede (S1). La cruralgia indica invece la sofferenza di L4, ed il dolore è nella parte anteriore della coscia.
Il dolore è accentuato dai movimenti della schiena, da posizioni protratte (specie la lunga permanenza in piedi o in posizione seduta), da tosse, starnuto e defecazione. Al contrario il giacere con le gambe flesse attenua il dolore.

Altri sintomi
Al dolore si associano parestesie (sensazioni anomale della gamba, tipo formicolii) e deficit sensitivi (45%), alterazioni dei riflessi (51%) ed ipostenia o diminuzione della forza (28%). La diminuzione della forza riguarda soprattutto i movimenti del piede e può essere verificata sollevandosi sui talloni o sulle punte.
La difficoltà o l’incapacità di sollevarsi sui talloni, indica un deficit dell’estensore lungo dell’alluce e delle dita (sofferenza di L5), mentre l’incapacità di sollevarsi sulle punte indica un deficit del tricipite surale (sofferenza di S1).
Molto raramente l’ ernia si manifesta con la sindrome della “cauda equina” ossia disturbi sensitivi perineali a sella e difficoltà nel controllo delle urine e delle feci, oltre che deficit della forza degli arti inferiori, specie nei movimenti del piede.

La presenza di sciatica viene verificata con la manovra di Laségue, che si esegue col paziente supino (sdraiato sul dorso): si eleva la gamba estesa fino a provocare tensione e poi dolore nel territorio sciatico (deve comparire al di sotto dei 60°). è positivo nell’83% dei casi specie nei pazienti giovani e per ernie L5-S1.
Il Laségue crociato (elevazione dell’arto non dolente) è positivo quando evoca dolore controlaterale indicando la presenza quasi certa di ernia (97%, ma con un’alta incidenza di falsi negativi). Per verificare la presenza di cruralgia si mette in tensione il nervo femorale, ossia col paziente prono (sdraiato sul ventre) si eleva la gamba.
La pressione nelle aree algiche, lungo i punti paravertebrali e lungo il decorso dei nervi interessati (sciatico o femorale) causa od accentua il dolore.
Talora bisogna differenziare la sofferenza radicolare da una patologia dell’anca. Questa si evidenzia a ginocchio flesso o semiflesso, ruotando, abducendo e flettendo la coscia così da mettere in tensione l’articolazione coxo-femorale.
Gli esami per accertare la presenza dell’ernia del disco
La sofferenza della radice è obiettivata dall’esame elettromiografico, esame fondamentale che consente anche di valutare il grado di compromissione della stessa. La radiografia diretta mostra la colonna vertebrale con le modificazioni (transitorie), indotte del dolore (irrigidimento, scoliosi etc.), o le modificazioni indotte da processi degenerativi (permanenti), come la riduzione dello spazio discale o la presenza di osteofiti. In proiezione laterale si valutano i diametri del canale neurale e la posizione delle faccette articolari, queste meglio evidenziabili in posizione obliqua.
La radiografia preoperatoria serve anche a rilevare eventuali malformazioni ossee congenite (lombarizzazione di S1 o sacralizzazione di L5), aiuta nella localizzazione dello spazio di interesse ed evidenzia l’ampiezza dello spazio interlaminare.
Anche la TC (tomografia computerizzata) rileva molti di questi elementi, ma soprattutto evidenzia il disco e l’ernia, permettendo la diagnosi e quindi l’eventuale intervento chirurgico. Bisogna osservare l’entità del grasso periradicolare per avere un’idea della sofferenza radicolare e le dimensioni della radice.
La RM dimostra meglio la posizione dell’ernia in rapporto allo spazio discale (proiezione sagittale), un indizio fondamentale nel sospetto di recidive. Col gadolinio permette di differenziare la fibrosi dalla recidiva (che non si impregna), ed in caso di complicazioni, illumina la diagnosi mostrando bene lo pseudomeningocele, la discite, gli ascessi epidurali e la persistenza di frammenti erniari.
Le cure conservative mediche e riabilitative
Il trattamento deve essere in primo luogo conservativo. Si ricorre per questo all’uso di antinfiammatori ed antidolorifici, compreso i cortisonici.
Particolare rilievo assume il riposo a letto per qualche giorno in modo da evitare sollecitazioni meccaniche sulla colonna. Allo stesso scopo, specie per quei pazienti che per il dolore non riescono a riposare, può essere consigliabile per qualche giorno, un busto ortopedico.
Superata la fase algica, nelle persone anziane ed in quelle iposteniche, è opportuno un periodo di terapia fisica per rinforzare i muscoli addominali e para-vertebrali così da dare maggiore solidità alla colonna e ridurre le sollecitazioni meccaniche sulla radice. Anche le infiltrazioni epidurali e/o paravertebrali possono attenuare la sintomatologia algica. Va da sé che in presenza di un’ernia voluminosa, anche in rapporto alle dimensioni del canale, le probabilità di successo della terapia conservativa sono molto limitate. Trascorsi sei mesi di dolore resistente a terapia conservativa ed in presenza di compromissione motoria va preso in seria considerazione il trattamento chirurgico.
La cure chirurgiche
L’ ernia del disco viene rimossa, nella tecnica tradizionale, per via interlaminare, con la radice bene in vista. In genere la compressione è sulla spalla radicolare.
Altre volte tutta la radice risulta sollevata e l’ernia emerge nello spazio ascellare. I frammenti liberi devono essere rimossi ricordando che un accanimento evacuativo può risultare dannoso se si trascurano i confini anteriori (lesione della vena cava) e può accentuare la cicatrizzazione o rallentare il recupero post-operatorio.
In linea di massima il rispetto delle condizioni anatomiche di base aiuta a prevenire la fibrosi, ma una decompressione radicolare insufficiente, specie in presenza di ipertrofia del massiccio articolare, provoca dispiacere al paziente ed al chirurgo.
L’intervento chirurgico ad accesso minimo
La microchirurgia permette di ingrandire tutte le strutture coinvolte, consentendo al chirurgo di essere più delicato nei movimenti e di operare in spazi minimi, quindi con scarsa cicatrice sul nervo. L’incisione cutanea è di 3-5 cm, ma quel che più conta, l’area esposta intorno alla radice nervosa è di pochi millimetri, quindi con una cicatrice post operatoria nella zona “sensibile” minima, specie se viene rispettato il grasso periradicolare e peridurale, ed il legamento giallo.
Va comunque sottolineato che le tecniche tradizionali a cielo aperto vengono usualmente eseguite in anestesia generale, predispongono all’ insorgenza di cicatrice, e prevedono la rimozione di tessuto muscolare, ligamentoso e osseo, con il rischio di creare instabilità ed eventuali recidive.
NUOVE FRONTIERE TERAPEUTICHE: L’ ENDOSCOPIA
L’endoscopia permette un accesso ancora più ridotto e l’esecuzione
dell’ intervento in anestesia locale. Durante l’intervento il paziente viene posizionato in posizione prona (a pancia in giù). Il chirurgo farà un’incisione di pochi millimetri sulla cute e creerà un canale di accesso direttamente all’ernia. Pertanto i tessuti verranno delicatamente dilatati senza intaccaree tagliare muscoli e legamenti. Per l’accesso al canale spinale viene utilizzata una via naturale cioè il forame intervertebrale. Attraverso il foro viene inserita una cannula di lavoro ed in essa un endoscopio grazie al quale il chirurgo vedrà le immaggini illuminate e nitide delle strutture anatomiche che si trovano all’interno del canale vertebrale compresa l’ernia del disco. Con una pinza sottile ed altri strumenti dedicati sarà in grado di rimuovere in assoluta sicurezza il materiale che comprime la radice nervosa. A volte viene utilizzata anche una sonda a radiofrequenza per levigare o ridurre il tessuto sfilacciato dell’ernia,oltre che a chiudere la “falla” (cosidetta “porta erniaria”).
Infine il chirurgo verifica che le radici nervose coinvolte siano di nuovo libere dall’ernia. Solo allora rimuove tutti gli strumenti e chiude la piccola incisione con un punto di sutura.
Normalmente il dolore recede subito dopo lìintervento e dopo circa due ore il paziente potrà rialzarsi.
L’approccio endoscopico mini-invasivo permette la conservazione di tutte le strutture anatomiche coinvolte, cioè legamenti, muscoli e ossa, riducendo i rischi di recidiva e di instabilità vertebrale e consentendo una degenza brevissima con tempi di recupero veloci.

Gli interventi percutanei e mininvasivi
Le tecniche percutanee promettono molto ed in un certo senso potrebbero rivoluzionare la terapia dell’ernia del disco lombare. In particolare la coblazione si è dimostrata molto efficace, anche se è fondamentale la selezione dei casi da sottoporre all’intervento. I vantaggi fondamentali sono il ricovero limitato ad uno due giorni, compreso quello dell’intervento, l’assenza di cicatrici e la pratica in anestesia locale, quindi adatta anche per pazienti debilitati o anziani. Altre tecniche percutanee, quali ad esempio l’ IDET, o la denervazione delle faccette, trovano indicazione in casi molto particolari.
Risultati nella chirurgia dell’ernia del disco
Il dolore radicolare scompare subito dopo l’intervento. La regressione degli altri sintomi non sempre è così immediata ed avviene con gradualità: nei primi giorni scompaiono le parestesie e ritorna la sensibilità, poi migliorano i riflessi e da ultimo la motilità (anche più di sei mesi). I risultati statistici indicano la scomparsa del dolore radicolare in più dell’ 80% dei casi, mentre il dolore lombare ne risente meno favorevolmente.
Il recupero motorio è in genere buono (80%). I riflessi patellare ed Achilleo, se assenti preoperatoriamente, ricompaiono solo nel 40% dei casi. La persistenza del dolore subito dopo l’intervento indica una decompressione radicolare insufficiente; viceversa la comparsa del dolore a 3-5 giorni dell’intervento è in genere dovuta ad una temporanea riaccensione del processo infiammatorio conseguente all’intervento e regredisce con terapia cortisonica.
Bisogna considerare a parte i casi con compressione della cauda equina e con deficit motori evolutivi (frequentemente caduta del piede). In questi casi il recupero è lento e spesso incompleto. Circa il 30% dei pazienti con sindrome della cauda equina insorta acutamente continua ad avere disturbi sfinterici.

Complicanze chirurgiche
I rischi dell’approccio classico sono: 1) le infezioni della ferita, con una quota inferiore all’ 1% di disciti ed ascessi epidurali; 2) un aumento del deficit motorio, spesso transitorio (3%); 3) la rottura del sacco durale (5%) con uno 0,3% di pseudomeningocele. Rarissime ma molto gravi sono le lesioni vascolari da sfondamento anteriore dello spazio discale. Una recidiva dell’ernia allo stesso livello, anche al lato opposto rispetto alla chirurgia, è del 4% a dieci anni dall’intervento.
Si noti che queste informazioni sono di carattere generale e non autorizzano ad estrarne conclusioni diagnostiche e terapeutiche. Qualsiasi caso va discusso, verificato e diagnosticato col medico abilitato al trattamento ipotizzato.